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Coaching e motivazione

Senso di colpa e paura di fallire all’università: come gestirli e non sentirsi un fallimento

di 1 Luglio 2025Nessun Commento11 min read

Molti studenti universitari convivono con un senso di colpa costante: per non aver studiato abbastanza, per essere in ritardo rispetto al piano, per non sentirsi mai all’altezza.

Una voce interna che giudica, che paragona, che dice “avresti potuto fare di più”.

Questo peso silenzioso si infiltra nei momenti liberi, toglie piacere alle pause e rende ogni fallimento una colpa personale.

In questa guida affronteremo proprio questo tema, andando a fondo delle cause, delle conseguenze e soprattutto delle strategie pratiche per uscirne.

Perché sì, è possibile smettere di sentirsi sbagliati e ricominciare a studiare con più leggerezza.

Ma prima di iniziare a darti tutti i consigli, voglio presentarmi:

Sono Ginevra Bizzarri founder di “Metodo Ginetica” e “Metodo Ginetica Academy”, un’azienda che si occupa di aiutare gli studenti di tutte le età, offrendo servizi di supporto allo studio e percorsi dedicati.

Sono laureata in chimica e tecnologia farmaceutiche e la mia missione è quella di aiutare più studenti possibili a vivere lo studio con più serenità e consapevolezza, costruendo una metodo di studio efficace e personalizzato!

senso di colpa università - metodo ginetica

Perché capita di sentirsi in colpa durante il percorso universitario?

Il senso di colpa universitario nasce spesso in silenzio, insinuandosi tra un esame rimandato e un confronto su chi si è già laureato.

È quella sensazione che ti accompagna quando ti prendi una pausa e subito dopo pensi di non meritarla, o quando guardi il calendario e ti accorgi che sei “in ritardo” rispetto a un percorso che, in realtà, nessuno ha mai scritto davvero per te.

In ambito accademico, il senso di colpa può manifestarsi in forme diverse: sentirsi in difetto per non aver studiato abbastanza, per non riuscire a rispettare le aspettative di genitori, docenti o persino di te stesso o per il solo fatto di non “funzionare” come pensavi avresti fatto una volta entrato in università.

Questo vissuto ha radici profonde e spesso ambigue.

Differenza tra senso di colpa conscio e inconscio

Esiste un senso di colpa conscio, quello che riconosci e a cui dai un nome preciso (“non ho studiato, quindi mi sento in colpa”), ma anche un senso di colpa inconscio, più subdolo, che agisce sotto traccia e si manifesta in forma di ansia, procrastinazione o auto-sabotaggio.

Come dimostrato in ambito psicologico, il senso di colpa inconscio può derivare da conflitti interiori legati all’identità, al bisogno di approvazione o alla paura di deludere (Freud, 1923/1961; Lewis, 1971).

Spesso alla base c’è una forma marcata di autocritica, una tendenza a giudicarsi con durezza anche per errori minimi o per semplici battute d’arresto.

Questo stato mentale viene alimentato da dinamiche ambientali e sociali: l’università, pur essendo un luogo di crescita, può accentuare il confronto, il perfezionismo e la pressione legata al rendimento.

Quando inizi a misurare il tuo valore solo in base ai risultati accademici, il rischio è che ogni deviazione dal “piano perfetto” venga vissuta come un fallimento personale.

Emozioni come ansia, vergogna e insicurezza diventano così la benzina del senso di colpa.

Secondo Tangney e Dearing (2002), il senso di colpa è strettamente legato alla percezione di aver infranto un ideale morale o personale, con un’attenzione costante verso l’altro, verso chi potresti aver deluso.

In ambito universitario, questo “altro” può essere un genitore, un professore, un collega o il tuo io ideale.

Quando ti senti inadeguato, quando hai la sensazione che tutti stiano andando avanti e tu no, il senso di colpa cresce e prende il controllo.

E se non lo riconosci, può trasformarsi in un ostacolo costante alla tua serenità.

Perché si prova senso di colpa all’università: tutte le cause che lo alimentano

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Il senso di colpa che molti studenti universitari provano non nasce dal nulla: ha radici profonde in dinamiche personali, sociali e culturali.

Una delle cause più comuni è il perfezionismo: quella voce interiore che spinge a fare sempre di più, a non accettare errori, a credere che “bene” non sia mai abbastanza.

Questo atteggiamento, spesso appreso fin da piccoli, è collegato a un forte senso di responsabilità e al bisogno di approvazione, ma può diventare paralizzante (Flett & Hewitt, 2002).

Accanto al perfezionismo, un ruolo chiave è giocato dalle strategie di studio inefficaci: quando lo sforzo è alto ma i risultati non arrivano, la frustrazione si trasforma rapidamente in colpa.

Non sapere come organizzare il tempo, procrastinare per ansia o studiare in modo passivo alimenta l’idea di essere “pigri” o “incapaci”.

Anche le aspettative irrealistiche, spesso autoimposte o trasmesse dall’ambiente familiare e accademico, aumentano la pressione.

Si pensa di dover finire in corso, passare ogni esame con il massimo, conciliare tutto senza fatica.

Ma quando la realtà si discosta da queste aspettative, entra in gioco la colpa.

A questo si aggiunge la paura del fallimento, che non è solo paura dell’insuccesso, ma timore del giudizio che ne deriverebbe.

Sentirsi in ritardo o sbagliare un esame viene vissuto come una vergogna personale, non come parte di un normale percorso.

Il confronto costante con gli altri, amplificato dalle varie piattaforme social e universitario, agisce come lente distorta: si vedono solo i successi degli altri, raramente le loro difficoltà e ci si convince di essere indietro, fuori posto, inadeguati.

La pressione sociale e familiare può peggiorare tutto: genitori che chiedono risultati, amici che sembrano “andare alla grande”, colleghi che mostrano una sicurezza solo apparente.

Questo contesto alimenta un senso di responsabilità esagerato per ogni piccolo fallimento o rallentamento.

Infine, la sindrome dell’impostore è un elemento chiave. È la sensazione di non meritare i propri successi, di essere arrivati lì per caso, di dover dimostrare sempre qualcosa in più per “non essere scoperti”.

Questo stato mentale è molto diffuso tra gli studenti universitari e ha un impatto diretto sulla percezione di sé (Clance & Imes, 1978), portando a sentirsi in colpa anche quando si ottengono buoni risultati.

Tutti questi fattori non agiscono da soli: si intrecciano, si rinforzano a vicenda e creano un clima interno in cui il senso di colpa diventa un’abitudine, non un’eccezione.

Comprendere queste dinamiche è il primo passo per imparare a gestirle.

Effetti psicologici del senso di colpa universitario e conseguenze sul benessere

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Il senso di colpa all’università non è solo una sensazione passeggera: è una vera e propria minaccia al benessere psicologico dello studente.

Quando si cronicizza, può trasformarsi in un rumore di fondo costante che logora la motivazione, mina la fiducia nelle proprie capacità e altera la percezione del percorso universitario.

Come riconoscere gli effetti del senso di colpa all’università

L’ansia è spesso il primo campanello d’allarme. Si manifesta come un’agitazione costante, la paura di non farcela, il timore di deludere aspettative proprie o altrui.

Lo stress cronico ne è una naturale conseguenza. Quando il senso di colpa diventa una lente attraverso cui si giudica ogni azione, anche un giorno di pausa o una sessione di studio meno produttiva si trasformano in motivi di autoaccusa.

Questo può portare a un logoramento mentale che, se non gestito, sfocia facilmente nel burnout accademico: una condizione di esaurimento fisico ed emotivo legata a richieste eccessive, molto comune tra studenti universitari (Jacobs & Dodd, 2003).

Il burnout si manifesta con cinismo, calo drastico della motivazione e senso di inefficacia.

Man mano che questo stato si prolunga, molti studenti iniziano a mettere in discussione il proprio valore.

La perdita di autostima non è immediata, ma graduale: si insinua dopo ogni esame andato male, dopo ogni confronto con chi sembra “più avanti”.

Questo calo della fiducia in sé stessi alimenta pensieri disfunzionali come “non sono capace”, “non finirò mai”, “non me lo merito”. Ed è proprio in questa spirale che il senso di colpa si aggancia alla depressione, creando un circolo vizioso difficile da spezzare.

Non sono rari, in questa fase, gli episodi di crisi di panico. Il corpo somatizza lo stress emotivo, spesso proprio nei momenti in cui si dovrebbe essere “sereni”, come prima di un esame o durante lo studio.

In questi casi, la connessione tra salute mentale e senso di colpa si fa evidente: il peso emotivo percepito diventa così alto da inibire ogni capacità di concentrazione e performance.

Uno studio di Misra & Castillo (2004) ha evidenziato come l’eccessiva pressione accademica combinata a giudizi interiorizzati sia tra i principali predittori di disagio psicologico nei college students.

Tutto questo non fa che abbassare ulteriormente la motivazione.

Quando ogni sforzo sembra insufficiente, anche lo studio più serio perde di significato.

Inizi a studiare “per dovere”, senza più provare coinvolgimento, curiosità o senso di crescita. E più si trascina, più aumenta il senso di colpa. È un meccanismo circolare che logora, isola e fa sentire soli.

Per questo, comprendere l’impatto del senso di colpa sulla propria salute mentale non è solo utile: è necessario.

Riconoscerne gli effetti è il primo passo per interrompere il ciclo e rimettere al centro non solo l’università, ma il proprio benessere emotivo.

Strategie pratiche per superare il senso di colpa all’università

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Una delle prime strategie per iniziare a ridurre il senso di colpa universitario è introdurre pause regolari e pianificate all’interno dello studio.

Il senso di colpa spesso si alimenta quando si ha la sensazione di dover “recuperare” il tempo perso, portando a maratone di studio che però riducono la qualità dell’apprendimento e aumentano il rischio di burnout.

Invece, creare una routine di studio che includa momenti di pausa consapevole aiuta il cervello a consolidare le informazioni e riduce la pressione interna (Pychyl & Flett, 2012).

Puoi iniziare dalla mia guida gratuita dove troverai tecniche di studio attivo, strategie per smettere di procrastinare e gestire il tempo, consigli su come affrontare lo studio in maniera personalizzata e molto altro.

Un altro passo concreto è definire obiettivi realistici e dividere i compiti complessi in micro-obiettivi, assegnandosi piccoli premi dopo averli completati. Questo ti aiuta a percepire movimento e risultati, anche in giornate no. Smetti di giudicare la produttività in base al numero di ore o pagine e inizia a costruire un sistema più gentile e sostenibile.

Scrivere un diario emotivo o tenere un “registro del senso di colpa” può essere utile per identificare i momenti ricorrenti in cui si attivano pensieri autodistruttivi. Annotare pensieri, situazioni e reazioni ti permette di osservarti con più distacco e iniziare a rispondere, invece di reagire.

Inserisci nella tua settimana anche attività ricreative e hobbies non legati allo studio, come sport, arte, lettura non accademica, musica o semplicemente stare all’aria aperta. Queste azioni non sono “tempo perso”, ma una ricarica mentale che ti restituisce lucidità e motivazione (Kabat-Zinn, 2003).

Allena la mindfulness o altre pratiche di consapevolezza che ti aiutano a stare nel momento presente e a non farti travolgere dai pensieri di rimorso o inadeguatezza. Bastano pochi minuti al giorno per cominciare a creare uno spazio mentale libero da giudizio.

Anche la vita sociale ha un impatto diretto sulla regolazione emotiva: parlare con altri studenti, condividere dubbi e normalizzare le difficoltà riduce l’autoisolamento che alimenta il senso di colpa. Quando ci sentiamo soli, ogni errore pesa di più.

Un passaggio fondamentale è rifocalizzarti sul perché hai scelto questo percorso universitario. Ricordare le motivazioni profonde (personali, professionali o di crescita) ti aiuta a uscire dalla logica del “devo essere perfetto” e tornare alla visione a lungo termine.

Inizia a distinguere tra chi sei e ciò che fai: il tuo valore non è legato a un voto o a una sessione. Questo significa separare l’identità personale dal rendimento accademico. È un cambiamento profondo, ma necessario per sviluppare resilienza (Neff, 2003).

Infine, se senti che il senso di colpa è pervasivo, che ti blocca, che ti fa stare male anche fisicamente o ti toglie sonno, considera l’idea di rivolgerti a uno psicologo.

Molti atenei offrono sportelli gratuiti o agevolati. Chiedere aiuto non è un fallimento: è il primo vero passo verso un modo più sano e sereno di vivere l’università.

Senso di colpa e università: quando serve un supporto professionale

Quando il senso di colpa smette di essere solo una voce fastidiosa e inizia a influenzare profondamente le tue giornate, potrebbe essere il momento di chiedere aiuto.

Se ti accorgi che l’ansia diventa così intensa da impedirti di concentrarti, se ti senti spesso staccato dalla realtà o da te stesso (un fenomeno chiamato depersonalizzazione), oppure se ti ritrovi intrappolato in pensieri ricorrenti che ti tolgono energia mentale, questi sono segnali che non vanno ignorati.

Anche crisi di pianto frequenti, insonnia prolungata o la sensazione costante di essere “in ritardo su tutto” possono indicare un carico emotivo eccessivo.

In questi casi, parlarne con un professionista non è un segno di debolezza, ma un passo di forza.

Molte università mettono a disposizione sportelli psicologici gratuiti o agevolati, pensati proprio per aiutare studenti in difficoltà.

Vale la pena informarsi presso la segreteria o sul sito dell’ateneo. Un percorso con uno psicologo o psicoterapeuta, anche breve, può aiutarti a distinguere le vere priorità, a ridimensionare le aspettative irrealistiche e a ristrutturare quei pensieri che ti bloccano.

In particolare, la terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è una delle più indicate per lavorare su pensieri disfunzionali legati al senso di colpa e alla performance. Studi scientifici hanno dimostrato l’efficacia della TCC nel ridurre sintomi di ansia e stress negli studenti universitari (Regehr, C., Glancy, D., & Pitts, A., 2013).

Se ti riconosci in questi segnali, il consiglio è semplice: non aspettare che tutto peggiori.

Inizia da una conversazione. Può essere con un tutor, un docente di fiducia, o direttamente con uno sportello psicologico. Spesso, il primo passo per stare meglio è permettersi di essere ascoltati.

Conclusioni

Il senso di colpa all’università non è un difetto personale, né la prova che sei pigro o sbagliato.

È una risposta emotiva molto comune, alimentata da aspettative altissime, confronti continui e ritmi che non sempre rispettano i tuoi tempi.

Non sei solo a sentirti così. E la buona notizia è che puoi imparare a gestirlo.

Ci sono strumenti, strategie e anche persone pronte ad aiutarti.

Accettare il fatto che il senso di colpa fa parte del percorso universitario non significa arrendersi, ma iniziare a costruire un rapporto più sano con te stesso e con lo studio.

Non devi dimostrare niente a nessuno: meriti di vivere questo periodo con più serenità e fiducia.

Prima di salutarci, un ultimo consiglio: seguimi su Instagram e iscriviti alla newsletter per rimanere sempre aggiornato su tips utili e sui nostri servizi.

“Alla tua rivoluzione”

Ginevra

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